Durante un viaggio, in una spiaggia o ad una festa, ci sarà capitato di fotografare persone sconosciute senza il loro consenso.
Potrebbe essere accaduto senza intenzione, poiché lo scatto ha inquadrato inavvertitamente dei passanti, oppure di proposito perché attirati dal corpo di una persona o dal suo comportamento bizzarro. Potrebbe anche essere accaduto che la fotografia sia stata pubblicata su Facebook o su un altro social network.
Occorre fare estrema attenzione in quanto tale condotta può costituire un illecito anche se allo scatto non segua la pubblicazione e anche se l’immagine venga ripresa in un luogo pubblico, aperto o esposto al pubblico.
L’immagine di una persona fa parte di quei “beni giuridici” riconosciuti e tutelati, a livello nazionale ed europeo, sia quale autonomo diritto della personalità, sia quale “diritto ad escludere dalla conoscenza” (diritto alla riservatezza), sia quale “dato personale” che, se “trattato” illecitamente, potrebbe generare pesanti sanzioni (DATA PROTECTION).
Le fonti normative che regolano l’immagine ed il suo utilizzo sono molteplici: codice civile e penale, D.lgs 196/2003 (Codice Privacy), Legge sul diritto d’autore (LA), Carta Costituzionale, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) oltre che, ovviamente, il recente Regolamento Europeo sulla Privacy n. 679/2016 (GDPR)
La ripresa e la pubblicazione di foto ritraenti persone fisiche, senza l’acquisizione del loro consenso, potrebbero quindi costituire un illecito civile, penale e amministrativo.
Rispetto al “diritto all’immagine”, l’art. 10 cod. civ dispone che “qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”.
La tutela accordata dall’ordinamento consiste quindi in un provvedimento giudiziario che obblighi alla rimozione dell’immagine e, in caso di pregiudizio, al risarcimento dei danni.
Tale disposizione va combinata con l’art. 96 della Legge sul diritto d’Autore (LA) che prevede il consenso della persona ritratta per l’esposizione, riproduzione e messa in commercio del ritratto stesso. Il seguente art. 97 LA precisa però che il consenso non occorre quando la riproduzione è giustificata dalla “notorietà o dall’ufficio ricoperto” o da altre circostanze tassativamente indicate dalla legge.
Pertanto, ciò che viene in questo caso tutelato è l’abuso dell’immagine altrui che si estrinseca nei casi di pubblicazione senza consenso e nell’ipotesi di danneggiamento del diritto all’onore, al decoro e alla reputazione.
Occorre altresì rilevare che l’immagine tutelata dal nostro ordinamento non è solo quella relativa alla sola sembianza estetica (immagine fisica) della persona ma anche quella sociale, riconosciuta dall’art. 2 della Costituzione come diritto all’identità personale (fra le prime Cass. 3769/1985). Sarà perciò autonomamente tutelabile, a prescindere dall’onore, quella “posizione di coerenza” (F. Gazzoni – Manuale di diritto Privato) dell’individuo che, per certe proprie convinzioni politiche, ideologiche, religiose, sociali ed economiche (proiezione sociale della sua personalità) abbia il diritto a non essere rappresentato con una diversa identità personale: è il caso della pubblicazione di una foto ritraente un soggetto animalista all’interno di una pagina Facebook relativa ad un’associazione di caccia.
Inoltre, indipendentemente dalla tutela dell’onore, del decoro, della reputazione e del “diritto all’immagine” ad ogni individuo è garantito il diritto alla riservatezza (art 2 Cost. – fra le prime Cass. sent. 2129/1975), che tutela la persona dalle ingerenze nella propria vita privata e famigliare (art. 7 CDFUE), nonché il diritto alla protezione dei propri dati personali (art. 8 CEDU e CDFUE ) (D.lgs 196/2003) (GDPR) che trova tutela amministrativa oltre che civile e penale.
Infatti, quando il trattamento del dato personale – di cui l’immagine fa sicuramente parte – non viene operato da una persona fisica per l’ “esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico” (art. 2 comma 2, lett. c GDPR), il titolare del trattamento (ossia quel soggetto che ne determina le finalità), qualora la sua condotta sia illecita, potrebbe anche soggiacere a pesantissime sanzioni amministrative.
La sanzione amministrativa prevista dal Codice della Privacy e dal GDPR scatta quindi solo nell’ipotesi in cui il trattamento non abbia finalità personali. E’ il caso in cui la foto ritraente l’immagine venga pubblicata sulla propria pagina social aziendale per finalità pubblicitarie. In quest’ultima ipotesi, peraltro, anche la tutela civilistica assume connotati più severi operando, ex art. 2050 cod. civ. (il trattamento del dato effettuata da un’azienda è considerata come attività pericolosa) anche in assenza di colpa del titolare del trattamento che verrà sanzionato per il semplice fatto di non aver adottato tutte quelle misure idonee ad evitare il danno.
In ambito civilistico il pregiudizio sofferto dall’interessato al trattamento del dato – come per l’abuso del diritto d’immagine – costituisce , conseguentemente, quella componente essenziale al fine di ottenere un risarcimento.
La responsabilità da fatto illecito, prevista e disciplinata dall’art. 2043 cod. civ., prevede infatti, per la sua applicazione, oltre al fatto doloso o colposo anche un evento dannoso (non necessariamente patrimoniale) che potrà obbligare colui che l’ha cagionato al risarcimento.
Non esiste quindi un danno in re ipsa (ossia un fatto che è considerato in sé stesso un danno) ma sarà sempre necessaria la prova del pregiudizio sofferto: la pubblicazione, senza consenso, di una foto ritraente l’immagine altrui, potrà pertanto sempre essere vietata, ma non necessariamente darà diritto ad un risarcimento se non si offrirà la prova del danno patito.
A tal proposito è opportuno tuttavia segnalare quell’orientamento giurisprudenziale che – applicando la legge sul diritto d’autore – pur in assenza di specifiche voci di danno patrimoniale, ha riconosciuto il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto (il soggetto ritratto) per concedere il suo consenso alla pubblicazione, determinandosi tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico presumibilmente conseguibile dall’autore dell’illecito. Vantaggio parametrato al mezzo di diffusione, alle finalità perseguite e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione.
La privacy viene tutelata anche dal diritto penale. Scattare delle fotografie ritraenti persone, senza il loro consenso, in un luogo privato (all’interno di un’abitazione, ad una festa in un club privato) configura il reato di illecita interferenza nella vita privata di cui all’art. 615-bis cod. pen.
Se la ripresa avviene in luogo pubblico (piazza, spiaggia, etc) lo scatto non costituisce reato purché non si integri una condotta molesta o di disturbo alla persona prevista e punita dall’art. 660 cod. pen.
In conclusione, fotografare una persona ad una festa privata, senza il suo consenso, o peggio pubblicare la sua immagine attraverso un social network, potrebbe integrare il reato di cui all’art. 615 bis cod. pen. punibile con la reclusione dai 6 mesi a 4 anni.
Se lo scatto avviene invece in luogo pubblico o aperto al pubblico e con disturbo alla persona o alle persone presenti, spettatori infastiditi dallo scatto furtivo, si potrebbe essere sanzionati, ex art. 660 cod. pen., con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino ad € 516,00.
È dunque sempre bene ricordare che scattare una fotografia senza il consenso della persona ritratta, (salve le ipotesi tassativamente previste dalla legge in cui il consenso non è necessario), potrebbe costituire non solo una violazione del diritto alla privacy ma anche una possibile turbativa alla quiete pubblica, sanzionabile anche in assenza della querela della persona offesa. Per la Cassazione, infatti, il reato di molestie è contestabile in caso di comportamenti astrattamente idonei a suscitare nella persona direttamente offesa, ma anche nella gente, reazioni violente o moti di disgusto o di ribellione, che influiscono negativamente sul bene giuridico tutelato che è l’ordine pubblico.
Per non incorre in sanzioni è buona norma chiedere sempre un consenso per lo scatto e un altro per la pubblicazione rispetto alla quale, oltre al reato di cui all’art. 615 bis cod. pen, qualora l’immagine fosse lesiva della reputazione della persona ritratta, potrebbe integrarsi anche il reato di diffamazione aggravata punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni dall’art. 595 cod. pen.
Infine, qualora la foto venga pubblicata per fini di lucro (es: pubblicazione per finalità di marketing) o per danneggiare intenzionalmente le persone fotografate (Es: c.d. revenge porn), si potrebbe essere condannati per il reato di trattamento illecito di dati, punito dall’art. 167 Codice Privacy, con la reclusione da 6 mesi a 1 anno e 6 mesi.