Quando c’è diffamazione su Facebook ?

L’offesa su Facebook può integrare il reato di diffamazione aggravata. La vittima può ottenere la rimozione del post offensivo, il risarcimento dei danni e chiedere la punizione del colpevole.

Quando sussiste il reato di diffamazione?

Si ha diffamazione quando un soggetto, comunicando con altri offende la reputazione di una persona non presente alla conversazione. L’assenza della vittima, intesa quale impossibilità per la stessa di percepire l’offesa nel momento in cui viene comunicata, è un requisito proprio del delitto di diffamazione e la distingue dall’ingiuria. 

L’ingiuria, oggi non più reato ma semplice illecito civile e amministrativo, si ha infatti quando si offende l’onore e il decoro di una persona presente alla conversazione. La condotta è ritenuta meno grave poiché le persone presenti alla conversazione sono in grado di difendersi e di dare una versione diversa dei fatti. Ecco perché si ritiene venga offeso solo l’onore ma non anche la reputazione.

Il reato di diffamazione può essere punito, nei casi più gravi, quali ad esempio la diffamazione aggravata su Facebook, con la reclusione fino a tre anni e con il risarcimento di danni patrimoniali, morali e esistenziali.

Riassumendo, affinché ci sia diffamazione, è necessaria:

  1. la presenza di almeno due persone (oltre al diffamatore),
  2. l’assenza dell’offeso
  3. la lesione della reputazione intesa come “stima” di cui gode un individuo all’interno del proprio contesto sociale e professionale.

La giurisprudenza considera la persona presente quando l’offesa giunge a conoscenza della vittima e degli spettatori nello stesso luogo (anche virtuale) e nello stesso momento  (Cassazione penale n. 34484/2018 e n. 13252/2021).

Messaggi offensivi su Facebook integrano sempre la diffamazione?

Non sempre! Le funzionalità di Facebook sono svariate e la configurabilità del reato dipenderà dalle modalità con le quali l’offesa verrà resa pubblica. Parlare di diffamazione su Facebook è quindi inutile se non si indicano le caratteristiche precise dello strumento utilizzato nel caso concreto.

Il requisito della presenza della vittima ossia della “contestualità del recepimento delle offese da parte di tutti i soggetti presenti” ci permette di capire se messaggi offensivi comunicati per iscritto o in videocall (ad esempio tramite Messenger) possono configurare il reato di diffamazione.

Diffamazione su Facebook: post pubblicato in bacheca con la funzione a cosa stai pensando?”

Quando il contenuto offensivo viene diffuso attraverso il profilo personale, con la funzione “a cosa stai pensando” c’è diffamazione aggravata. Il “post” lasciato in bacheca, infatti, può raggiungere, in momenti diversi, un numero indeterminato di persone. Da qui la circostanza aggravante che determina una pena maggiore (art. 595 comma 2 codice penale).

Poco importa che il post sia stato immediatamente cancellato e abbia raggiunto solo poche persone. Chi avrà pubblicato il contenuto diffamatorio potrà essere condannato alla reclusione e sarà tenuto a risarcire i danni alla vittima.

La maggiore o minor diffusione dell’offesa, spesso legata ad impostazioni di privacy dell’account (dunque al carattere più o meno pubblico del profilo social) potrà semmai incidere sull’entità della pena e del risarcimento del danno ma non anche sull’accertamento del reato.

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Diffamazione su gruppo segreto Facebook

I gruppi Facebook sono community composte da persone interessate a condividere interessi comuni. 

In quelli “aperti” chiunque può vedere i contenuti ma solo i membri possono postare qualcosa. Nei gruppi “chiusi” solo i componenti accettati dagli amministratori possono vedere i contenuti condivisi. Infine, in quelli segreti, nessuno può vedere gruppo e contenuti e, per partecipare, occorre essere invitati da chi ne ha la facoltà.

Sebbene parte della giurisprudenza ha ritenuto non sussistere il reato di diffamazione su Facebook nei casi di gruppi chiusi o segreti (di cui la vittima faceva parte) si ritiene che ci sia diffamazione, anche nella sua forma aggravata. 

Infatti, poiché il gruppo Facebook, per le proprie caratteristiche tecniche, al pari della bacheca pubblica, può essere utilizzato dagli utenti in ogni tempo e luogo, non può mai ritenersi contestuale il momento in cui tutti recepiscono il messaggio offensivo che resta, peraltro, memorizzato in bacheca.

Diffamazione su Facebook con Messenger

Messenger è un’applicazione di messaggistica istantanea o videochat messa a disposizione della piattaforma Facebook con la quale gli utenti possono inviare messaggi e scambiare file, reagire ai messaggi di altri utenti e creare chat o videochat fra più persone.

Se l’offesa viene comunicata attraverso una videochat Messenger, nella quale sono presenti diverse persone, oltre alla vittima, al fine di accertare il reato di diffamazione per mezzo Facebook occorrerà ricostruire l’accaduto e verificare se le offese siano state percepite contestualmente o in momenti diversi.

Se tutte le persone, compresa la persona offesa, erano presenti all’offesa, seppur virtualmente, non si integrerà il reato di diffamazione bensì la semplice ingiuria, oggi depenalizzata.

Quando l’offesa viene invece comunicata per iscritto tramite la chat di Messenger non può presumersi che sussista il reato di diffamazione. L’invio di un messaggio elettronico recapitato individualmente ai device dei singoli destinatari potrebbe infatti escludere la volontà di diffondere il messaggio a più persone. Clicca qui per approfondire

Tuttavia, anche qualora fosse integrato il reato, poiché la diffamazione Facebook su chat privata non ha i requisiti della pubblicità, non si applicherà la circostanza aggravante (ex art 595 comma 2°) e il diffamatore sarà punito la reclusione fino a un anno oltre al risarcimento dei danni

La diffamazione su Facebook può avere ripercussioni sociali e psicologiche molto pericolose. Contattami  per scoprire come ottenere la punizione del colpevole ed il risarcimento dei danni.

Diffamazione Facebook senza nome 

Spesso gli utenti, pensando di farla franca, scrivono su Facebook contenuti diffamatori senza indicare specificamente il nome della persona offesa.

Secondo la giurisprudenza l’individuazione della persona può avvenire anche attraverso altri indici ricavabili dalla situazione concreta. È infatti possibile offendere una persona specifica, senza farne il nome, semplicemente menzionando fatti o circostanze che, all’interno di un ambiente sociale, riconducono inequivocabilmente a quella persona.

Ciò significa che, se qualcuno ti ha diffamato su Facebook senza mettere il tuo nome, ma altri ti hanno identificato, potresti avere diritto al risarcimento dei danni.  Clicca qui per avere una consulenza specifica sul tuo caso.

Quando non c’è diffamazione su Facebook?

Oltre alle ipotesi già analizzate la legge prevede altri casi in cui la diffamazione su Facebook non è reato.

Non c’è diffamazione su Facebook quando, pur offendendo la reputazione altrui, esercito un diritto (art 51 codice penale) come quello di critica, di cronaca e di satira.

In questi situazioni il diritto alla reputazione viene bilanciato con il diritto alla libera manifestazione del pensiero (art. 21 della Costituzione).

Occorre però prestare attenzione! La libertà di manifestazione del pensiero non viene riconosciuta in modo illimitato ma viene subordinata ad alcune condizioni quali:

  • la verità del fatto narrato
  • l’oggettivo interesse per l’opinione pubblica (es i fatti di cronaca giudiziaria) 
  • la correttezza con la quale il fatto viene riferito (cd continenza verbale). 

Ciò significa che anche in presenza di una notizia vera e di per sé idonea a generare un interesse sociale sarà ritenuta diffamatoria quella comunicata in modo eccessivamente aggressivo e lesivo della moralità della persona (Es: non posso dare del “ladro” ad una persona che ha commesso un furto).

Ogni situazione ha le proprie peculiarità e l’accertamento del reato di diffamazione su Facebook dovrebbe richiedere, oltre ad un’attenta analisi della forma e del contenuto del messaggio diffamatorio, anche uno studio delle eventuali ragioni in virtù della quali la legge nega l’integrazione del reato e quindi il conseguente risarcimento dei danni sofferti dall’offeso.

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